lunedì 29 luglio 2013

Joe e Beth, Elmore Magazine (Usa)

E' possibile, se vivete negli Stati Uniti, che non abbiate mai sentito Beth Hart prima della sua performance al Kennedy Center Honors dello scorso Dicembre. Sulle ali di questa improvvisa esposizione mediatica, Hart, dopo essere stata in tour in Europa, si appresta a dare il via al suo primo tour degli USA da dieci anni a questa parte, per rilanciare una carriera che è stata interrotta da abusi di sostanze e da un diagnosticato disordine bipolare. Per Hart, che ha pubblicato il suo ottavo album Bang Bang Boom Boom la scorsa primavera, sembra che siano tempi migliori.


 La Hart reduce da ben due tour europei, si trova all'Iridium Jazz Club intervistata per un documentario su Muddy Waters. Un misto disarmante tra il riservato ed il socievole, Hart trasuda cura e serietà, conquistando i conoscenti in pochi attimi. Bang Bang Boom Boom  è una sorta di riveduta stilistica per Hart. Nuove influenze musicali caratterizzano la sua musica da quando la Hart è maturata sia come persona che come musicista. Ha evidentemente tratto beneficio dalle sue collaborazioni con musicisti straordinari, principalmente con gli eroi della chitarra Jeff Beck e Joe Bonamassa, e la loro guida è stato un aiuto che ha consentito a questa donna, che recentemente ha festeggiato il quarantunesimo compleanno, di entrare in una nuova era.

Sulla scia di Bang Bang Boom Boom, la seconda pubblicazione che si intitola Seesaw, secondo album nato dalla collaborazione con Joe Bonamassa, è arrivato nei negozi nel mese di Maggio.


Il loro lavoro insieme sembra aver avuto un grosso impatto sulla direzione di Beth Hart; il loro primo disco insieme, Don't Explain, fu registrato nel 2011, dopo un decennio di musica rock che Hart ha passato in Europa. Il secondo disco, come il primo, è una raccolta di fantastiche cover. "Credo che io stia cambiando come persona e come artista o cosi spero." dice Beth "E' stata una vera sfida ed era abbastanza spaventoso uscire fuori da quello che sono stata abituata a fare per 20 anni." Nonostante ciò Hart sembra aver accolto con piacere il nuovo percorso. Adesso, immergendosi completamente nella musica che ha ascoltato crescendo (Billie Holliday, Etta James, Aretha Franklin) Hart sembra aver ritrovato la strada di casa dopo cosi tanti anni di battaglia personale e professionale.


Nella seconda metà degli anni Novanta Hart volava alto, con una canzone che fu una hit, LA song (out of this town), un album con la Atlantic, e quello che sembrava essere una carriera molto promettente per lei. Ma le cose cambiarono velocemente quando il disturbo bipolare, che le fu diagnosticato quando era più giovane, prese il sopravvento. "Avevo perso la testa. Avevo davvero perso la testa". Dopo il successo del secondo album, Screaming for my supper, la carriera di Hart è salita alle stelle, cosi come l'attenzione e lo stress. Come molti che convivono con problemi mentali, Hart è passata all'alcohol e alle droghe per automedicarsi, e la sua vita si è sfasciata. Perse le amicizie, la famiglia, il contratto con la Atlantic, perse parecchio in salute e in peso, e la sua scalata al successo sembrava velocemente giunta alla fine. Negli anni seguenti Hart ha continuato a fare musica senza  grossi sforzi per salvare la sua carriera negli USA. "Dopo essere guarita invece di tornare a lavorare negli Usa, si sono aperte delle possibilità per me in europa" spiega Beth "Ho iniziato dal basso là, e le cose sono andate bene, è stato fantastico, ma sono sempre stata spaventata dal tornare negli Usa, almeno fino a due anni fa quando qualcosa si è acceso dentro di me. E mi chiesi, cosa sto facendo?"


Poi il destino volle che Hart incontrasse l'uomo in grado offrirle l'opportunità per tornare sotto i riflettori, proprio mentre stava compiendo un inversione di rotta nella sua vita. Joe Bonamassa, impegnato ad affermarsi sin da quando era ragazzo, era la fiaccola lasciata in eredità dal british blues-rock. "Ho sempre visto la faccenda come fosse un pò anomala poichè ero un americano che suonava musica britannica" dice Bonamassa. Molto del sostegno iniziale ricevuto da Joe, come da Beth Hart, proveniva dall'europa, in particolare dal regno unito. "Credo che il regno unito rappresenti ancora il mercato più grande" afferma. A 12 anni Bonamassa apriva già i concerti di BB King e un pò di anni dopo fu uno dei fondatori della band Bloodline, un supergruppo formato da figli d'arte tra cui il figlio di Robby Krieger dei Doors, Waylon, alla chitarra e il figlio di Miles Davis, Erin alla batteria. Il suo primo album solista, A new day yesterday del 2000, entrò nella top ten della Billboard blues charts. Bonamassa non si è più guardato indietro passando per vari progetti come quello con i Rock Candy Funk Party del 2013, un omaggio ai groove funk degli anni 70 e 80. La sua propensione a collaborare e ad avviare nuovi progetti lo ha portato fino ad Hart, e a due album in studio che i due hanno pubblicato nel corso di 3 anni. I due si sono incontrati per il tour in europa, partecipando insieme a vari festival. L'ammirazione di Joe nei confronti di Beth lo ha portato all'idea di un disco di cover soul. "Quandò mi chiamò per fare un disco soul insieme a me, pensai che mi volesse come corista" racconta Hart "e invece disse: no sarai la voce principale." Quel momento fatidico ha stimolato un periodo di immensa produttività in Hart, per non parlare della rinnovata opportunità di affermarsi negli States. "Le cose girarono molto velocemente. Improvvisamente avevo un contratto discografico per la prima volta negli Usa e mi dicevano: faremo uscire Bang Bang Boom Boom e ti faremo tornare on the road" spiega.


Dopo anni di avversità, Hart non ha esitato a cogliere al volo l'opportunità, reinventando sè stessa come persona, come performer e come scrittrice di canzoni. "Ho cambiato stile per l'album Bang Bang Boom Boom" dice Hart. "Sono entrata nella top 40. E' un grande risultato per me. Completamente influenzata dal lavoro con Joe per l'album di covers, ho spostato le mie attenzioni nello scrivere. Quando stavo scrivendo l'album mi sentivo un pò diversa. Pensavo molto a mia madre. Mia madre è sempre stata molto femminile nel vestire, io sono sempre stata il contrario. Mi sono sempre vestita come un maschio sul palco, e fare nuova musica mi ha portato a scoprire una parte diversa della mia personalità." Hart è fiduciosa dei suoi mezzi musicali adesso e può permettersi di concedersi dei rischi. "Ho scritto veramente tanto da dopo Bang Bang" dice "Ho del materiale strano e divertente, che non è orientato verso il rock and roll. Mi sto allontanando da quello." Hart vive e respira la sua musica. I testi sono pieni di sincerità. "E' la cosa più difficile che faccio, ma anche la cosa più preziosa" spiega Hart. Ultimamente nella testa di Beth Hart c'è anche l'amore. Non passano cinque minuti senza che dica a chiunque che persona magnifica sia suo marito, Scott Guetzkow. In un recente show a New York, Hart ha avuto problemi tecnici con alcune strumentazioni, e Guetzkow è salito sul palco tra una canzone e l'altra per aiutarla. Ogni volta, Hart lo ha presentato alla folla come un ragazzo meraviglioso. "Non so se quando ero più giovane valeva veramente la pena per me parlare d'amore, perchè non penso di aver veramente amato qualcuno" confessa Hart "So che non amavo me stessa. Quindi come avrei potuto scrivere di  qualcosa che non sentivo? Ma sono perdutamente innamorata di mio marito ora. Quindi forse questo è il motivo per cui parlo cosi tanto di amore, perchè è qualcosa che provo, per gli altri e per me stessa. Non avrei potuto dirlo prima, davvero non avrei potuto."


Oltre alle undici canzoni scritte da Beth per Bang Bang Boom Boom, l'edizione americana include la performance al Kennedy Center, forse uno dei momenti chiave della sua carriera. Jeff Beck, a cui fu chiesto di onorare il leggendario Buddy Guy, ha invitato Hart ad unirsi a lui. Hanno suonato "I'd rather go blind", di Etta James, la cantante preferita di Beth Hart. "Quello show è stata un'esperienza eccezionale, non lo dimenticherò mai. E' stato il culmine del mio lavoro nella musica senza dubbio. "E' successo tutto in un momento meraviglioso" spiega Beth riferendosi alla performance sulla sua pubblicazione discografica. "Avevo appena fatto un grande tour promozionale in Europa. Mentre ero impegnata con le conferenze stampa, Jeff venne da me e disse: tieniti pronta, ti chiamerò. Cosi un paio di settimane dopo mi chiamò e mi chiese se volevo partecipare al Kennedy Center Honors, e non avevamo ancora pubblicato il disco qui".


Mentre i fan riscoprivano la musica di Hart con il suo nuovo album, Bang bang boom boom, la sua collaborazione con Bonamassa, Seesaw, si presenta come un pù che adatto complemento al suo lavoro solista, per ricordare a noi chi è veramente Beth Hart: amore e disagio, audacia e  turbamento. I suoi eroi musicali, Etta James, Billie Holiday, Janis Joplin, Amy Winehouse, condividono con lei la stessa dualità inconfondibile, una vita vissuta in parti uguali di dolore e piacere. Dopo aver superato i momenti bassi, Hart è tornata ancora più forte. "Ritornare qui significa tanto per me. Sarebbe cosi bello se riuscissi a portare un messaggio di amore, speranza e gioia sul palco."

Non è un caso che Beth Hart si ritrovi di nuovo faccia a faccia con altre opportunità: il suo talento straordinario e la sua abilità nello scrivere e nel cantare supera ogni cosa. Sentirla cantare una nota significa scoprire la sua forza incredibile.

giovedì 25 luglio 2013

Rory Gallagher, Elvis Presley


Rory Gallagher

In uno dei momenti più tumultuosi della storia d'Irlanda, Rory Gallagher tornò in patria nei primi mesi del 1974 per quello che sarebbe diventato uno dei suoi tour più acclamati e che sarebbe stato incluso nel tanto venerato doppio album live, intitolato "Irish Tour 74", pubblicato il 21 luglio dello stesso anno. A causa dei disordini politici e delle violenze, molti artisti decisero di stare alla larga da questa isola così problematica. Per Gallagher, nato a Ballyshannon, Contea di Donegal, e cresciuto a Cork, era invece una cosa fondamentale tornare in patria ogni anno e lo fece a prescindere dal rischio. Con i suoi compagni di band, il tastierista Lou Martin, il batterista Rod De'ath, e  l'amico di lunga data e  bassista Gerry McAvoy, l' irlandese energico chitarrista rock-blues regalò spettacoli indimenticabili per i suoi fedeli fans, nonchè suoi connazionali."Irish Tour 74" include alcune delle migliori tracce del suo quarto album in studio, "Tatoo", fresco di stampa, partendo con una spumeggiante "Cradle Rock", passando poi per la delicata bellezza di "A Million Miles Away", per arrivare infine al frenetico "slide " che dà quel tocco in più al brano "Who's  that Coming ". L'album è ulteriormente arricchito da  una cover soul  di Muddy Waters, "I Wonder Who", e dal brano  di Tony Joe White, “As the Crow Flies", realizzato con una scatenata chitarra acustica . Per quel che riguarda le performance dal vivo, pochi potevano tenere testa al carisma di Gallagher, che univa il virtuosismo della chitarra al puro amore verso il blues. "Irish Tour 74", che è stato registrato a Dublino, Cork e una capitale, Belfast, particolarmente turbolenta , mostra attraverso semplici brani, come quelli sopra citati, sia l'amore che Rory Gallagher aveva per il suo paese, sia a sua volta l'amore, l'apprezzamento , e il rispetto che lo stesso paese aveva per lui.




Elvis Presley

Il  singolo di debutto di Elvis Presley, "Tha's all right"", fu pubblicato dalla Sun Records il 19 luglio 1954. All'inizio di quello stesso mese, dopo aver tentato senza grandi successi una registrazione in studio, Elvis cominciò a suonare una versione movimentata del Delta blues,  la canzone "That's all right, Mama", di Arthur "Big Boy" Crudup. Il chitarrista Scotty Moore e il bassista Bill Black, che avevano entrambi appoggiato Presley durante la session, rimasero molto colpiti. Il produttore della Sun Records, Sam Phillips, rimase così impressionato da ciò che aveva sentito, che disse al trio di suonare di nuovo la canzone e la fece registrare. Phillips avrebbe poi distribuito il brano "That's all right", insieme ad una cover di Bill Monroe "Blue moon of Kentucky" , ad un certo numero di stazioni radio di tutta Memphis. La risposta degli ascoltatori è stata così positiva, in particolare per lo show radiofonico della WHBQ,"Red,Hot and Blue" (dove il singolo è stato trasmesso per ore ed ore), che Elvis fu chiamato per un'intervista in diretta. Anche se il suo singolo di debutto non ha venduto abbastanza per le classifiche nazionali, a Memphis divenne in breve molto popolare, e per Elvis cominciava ad aprirsi la strada per diventare "The King".


lunedì 22 luglio 2013

Recensioni - We Want Groove - seconda parte


- Funkatopia 
I musicisti che si sono esibiti con artisti del calibro di Prince, Chaka Khan, Eric Clapton, Sheila E., Stevie Wonder, Billy Idol, e molti altri si sono riuniti per un paio di giorni per creare un album funk chiamato Rock Candy Funk party.
Tal Bergman che ha suonato la batteria per  tutti, da Rod Stewart a LL Cool J ha raggruppato un'ensemble di artisti per creare un album che avrebbe reso omaggio al funk degli anni '70 e '80. Ha chiamato il chitarrista Ron DeJesus che ha suonato con "The Emoticons" e Tito Puente. Poi ha aggiunto il  tastierista Renato Neto, meglio conosciuto grazie  ai NPG (Ne power generation,il gruppo di musicisti dal 1990 al 2009) di  Prince, ma che ha anche suonato con Sheila E., Justin Timberlake e Christina Aguilera. Il passo successivo è stato il dio del rock Joe Bonamassa, che ha condiviso il palco con Eric Clapton, Paul Rodgers (Free, Bad Company) e anche BB King. Poi al basso ha chiamato il grande Mike Merritt, meglio conosciuto come bassista di  Conan O'Brien dei Max Weinberg 7, ma che è stato anche con Stevie Ray Vaughn, Chuck Berry e Bruce Springsteen, solo per citarne alcuni.
Il risultato è  stato un album di 10  tracce chiamato "We Want Groove" che è pieno di jam funk che rievocano il funk degli anni '70 e '80. L'epoca che ha cominciato a sfumare pesantemente i confini tra jazz e funk distorcendo  e buttando il genere nel dimenticatoio. Il loro compito era quello di rilanciare e ridefinire l'epoca funk e lo hanno fatto molto bene.
Dall'impeto coinvolgente della traccia di apertura Octopus-E (che si può ottenere gratuitamente tra l'altro), alla scorrevolezza Living Color'esque di Spaztastic,  fino al brano che dà il nome all'album " We Want Groove", con le sue stilettate che ricordano stranamente Sexy MF di Prince , questo album completamente strumentale è ricco di momenti in cui rivivono alcuni memorabili classici del funk.
Mentre la maggior parte dei brani dell'album battono rimti "Funk-tastici", l'album  include  anche un paio di jam lente che trasformano l'atmosfera energica quasi in una gita di piacere. I drogati di funk che amano fischiettare sui ritmi senza versi saranno in un immenso paradiso qui. La maggior parte delle jam mancano di assoli che rendono l'insieme un tutt'uno come se il ritmo si stesse muovendo dritto, anche se in alcuni momenti questo gioca a suo svantaggio. Un esempio lampante è Renato Neto ,che è veramente un musicista straordinario,che non ha abbastanza assoli su questo album per mostrare le sue capacità. Anche il batterista Tal Bergman realizza un assolo di batteria  in stile  Madhouse (gruppo creato da Prince) nella traccia intitolata "Animals". Ma per quanto riguarda Renato, un pizzico qui, un altro pizzico veloce lì e non è  neanche lontanamente vicino al suo modo di graffiare,così ben conosciuto dalla maggior parte delle persone che lo conoscono. Possiamo solo sperare che ci saranno altre occasioni che metteranno Renato nel suo legittimo posto di  gloria. Un secondo album, forse?
Dopo alcuni ascolti, qualche pecca emerge, gli manca mezzo punto per arrivare al punteggio pieno. E' per le due jam lente che durano un po' più a lungo del necessario,e che includono anche la giustamente intitolata "The Best Ten Minutes of your life" che è una grande canzone, ma che non ha abbastanza variazioni che le consentano di superare bene i 5 minuti. La slow jam di chiusura "New York Song" subisce la stessa sorte anche se è riscattata da una traccia nascosta chiamata "Mr.Clean" che mette tutti di nuovo al lavoro ... dopo dieci minuti.
Tutto sommato, questo album rappresenta  una piacevole fuga "funk" che si guadagna un voto di 4,5 su 5. La maggior parte delle persone decidono di comprare un album per una serie di ragioni, ma questo rappresenta un "must". E 'un punto di arrivo di 5 eccellenti musicisti che uniscono le forze per uno scopo comune e questo scopo è il Funk. Non possiamo pensare ad una ragione migliore per unire le forze. Fino a quando arriverà il secondo album di successi dei Big Ol’ Nasty Getdown  , questo collaborazione è il top per i fans del funk. Non c'è da camminare , ma da correre verso i Rock Candy Funk Party. Grande nome,comunque..
4,5 stelle su 5

- Rock Candy Funk Party (website)
We want groove è stato registrato nel corso di dieci giorni in cui i musicisti hanno potuto dare sfogo e giocare con il loro approccio all'improvvisazione musicale , nello studio di Tel Bergman a Los Angeles. Il coinvolgimento è stato egualitario ed ego-neutrale, ogni musicista ha condiviso con gli altri le fasi della creazione musicale.
"Il concetto alla base del disco è strettamente connesso a quello di interplay" dice Bergman "E' come se gonuno alimentasse l'altro, si creano cosi delle reazioni e si cattura il momento".
Le atmosfere stupende di The best ten minutes of your life godono di un groove nello stile Tempations , primi anni Settanta. L'album si chiude con le melodie sentimentali ed espressive di New York Song. "Tutti i nostri gusti hanno contribuito alla creazione dell'album" spiega Bergman citando altre influenze come Herbie Hancock, James Brown, Weather Report, Earth wind and fire, Led Zeppelin, Sly Stone e ovviamente Miles Davis. nel 2007 Bergman e DeJesus pubblicano Groove Vol.1 , un album strumentale a cui seguono delle date live nella storica location losangelina del jazz, il Baked Potato. I due incoraggiano altri musicisti ad unirsi per fare alcune jam sessions. Tra questi, Merritt (The Basic Cable Band) e Neto (Prince, 2002-2011) si uniscono al gruppo.Bonamassa fa il suo ingresso durante i primi mesi del 2012 , in occasione di uno dei suoi rarissimi e temporanei momenti di pausa del tour, invitati da Bergman (che seugue Bonamassa in tour come batterista) per unirsi a loro per un paio di concerti. Il 23 e il 24 Gennaio i RCFP celebrano l'uscita discografica di We Want Groove con un doppio live al The Baked Potato di Los Angeles.





CD
1. “Octopus-e”
2. “Spaztastic”
3. “Ode To Gee”
4. “We Want Groove”
5. “The Best Ten Minutes of Your Life”
6. “Animal/Work”
7. “Dope On A Rope”
8. “Root Down (and Get It)”
9. “New York Song”










DVD
1. “The Making of We Want Groove”
2. “In the Studio – Episode 1”
3. “In the Studio – Episode 2”
4. “Official Music Video: Octopus-e”




sabato 20 luglio 2013

Recenesioni tradotte - We Want Groove RCFP - prima parte

La prima recensione è del 7 Gennaio 2013 quando We Want Groove in realtà non era ancora stato pubblicato, ma si apprestava di lì a breve ad arrivare sugli scaffali dei migliori negozi di musica



-TRUTH IN SHREDDING
I Rock Candy Funk Party pubblicheranno il loro album jazz-funk intitolato We Want Groove per l'etichetta Provogue Records il 28 Gennaio. All'interno dei RCFP troviamo nomi importanti come il produttore Tal Bergman (batteria), Joe Bonamassa (chitarra), Ron DeJesus (chitarra), Mike Merritt (basso), e Renato Neto (tastiere).

L'album uscirà in una confezione contenente un cd e un dvd, oltre che in edizione doppio vinile. Ispirato ai classici del jazz e del funk degli anni Settanta e Ottanta, Rock Candy Funk Party presenta un sound celebratorio esattamente come il titolo dell'album suggerisce. Contiene 9 traccie, otto originali ed una cover, l'album è pieno di atmosfere e trame sonore che si mescolano ai virtuosismi dei musicisti. Il Dvd bonus include un "making of", varie riprese del lavoro in studio, e il videoclip ufficiale della canzone Octopus-e. Nel titolo e nello spirito, l'album strizza l'occhiolino al disco strumentale live di Miles Davis del 1982 che si intitola We Want Miles; ma è solo una delle molte influenze di cui è possibile ascoltare l'eco, tra i pezzi che compongono il disco dei RCFP: la traccia d'apertura Octopus-e vanta un muscoloso groove che ricorda l'incontro tra Jeff Beck e gli Average White Band. "Tal ha svolto un ottimo lavoro nell'assicurarsi che l'album non diventasse troppo indulgente" dice Bonamasssa. "L'obbiettivo era di mantenere il disco fresco senza che le nostre influenze potessero sovrastare la musica, mantenere quindi la giusta vibrazione all'interno della band senza senza finire con l'avere troppe idee da troppe persone. Era importante catturare il momento e mantenerlo genuino e divertente."


-ALL ABOUT JAZZ
I Rock Candy Funk Party ripropongono un suono jazz-funk che affonda le radici nel passato riprendendo il gusto e lo spirito eclettico di alcune memorabili composizioni, il tutto condito da una registrazione sonora trasparente ed eccezionale che dà più respiro ai brani oltre che una grande profondità ai singoli dettagli. Con la partecipazione di Joe Bonamassa, eroe della chitarra rock-blues, affiancato dal chitarrista Ron DeJesus, i Rock Candy Funk Party hanno registrato nello studio del batterista Tal Bergman. Cosi nasce il disco di debutto. I Rock Candy Funk Party nascono sotto il segno del divertimento e We Want Groove è il disco portatore del loro messaggio. Tutto nasce dall'album frutto della collaborazione tra Bergman e DeJesus dal titolo Groove Vol.1 (2007) a cui sono seguiti una manciata di concerti live, ed infine l'aggregazione dei componenti che ha portato alla nascita di We Want Groove. E' un collettivo che riassume e comprende gli ambiti della musica rock, jazz e pop , abbracciando generi e approcci diversi oltre alle sensibilità artistiche dei musicisti che ne fanno parte e che hanno provveduto a mettere tutto su disco. Il tocco blues nella miscela tra jazz, funk e soul è quello di Bonamassa , posizionato sul canale sinistro mentre DeJesus lo si ascolta sul canale destro. La trama sonora è ben definita. In senso stretto entrambi i chitarristi sono come dei giocatori che hanno un proprio ruolo da coprire, alternandosi tra i linguaggi del jazz, del funk e del blues-rock. Uno degli esempi migliori dell'atmosfera retrò del disco è "The best ten minutes of your life" che potrebbe essere paragonata a un misto tra la colonna sonora di un film della Blaxploitation [dalle due parole inglesi black (nero) ed exploitation (sfruttamento) - è stato un genere di film che nacque negli Stati Uniti, nei primi anni settanta, quando molti film d'exploitation furono realizzati a basso costo avendo come pubblico di riferimento gli afroamericani] e lo stile blues e funky del chitarrista Johnny "Guitar" Watson mentre spara note e fraseggi intrisi di eco e riverbero. Poi c'è il tastierista Renato Neto con il suo trattamento a base di Fender Rhodes e atmosfere sognanti e spaziali, seguito dal bassista Mile Merritt con il suo groove unico e Bergman a tenere il tempo come un metronomo vivente. Insieme a fresche sovrapposizioni di synth, i chitarristi giocano dividendosi gli spazi, creando melodie e contromelodie che donano all'intero tema la sonorità che contraddistingue il pezzo che, è giusto dire, trae beneficio anche da una produzione perspicace. Un altro degli aspetti interessanti dell'intero album , oltre al materiale solido e una chiara eccellenza per quanto riguarda il suono e la registrazione, è la varietà dei ritmi e l'uso della dinamica da parte dei musicisti. Naturalmente il fattore ballabilità permea tutto il disco, possiamo considerarlo un misto ibrido che rende significativa l'unione tra il vecchio e il nuovo, grazie a questa band che riesce a rendere contemporaneo e ad elevare  qualcosa di importante.


-BLUES ROCK REVIEW
We Want Groove dei Rock Candy Funk Party - Il titolo dell'album e il nome del gruppo riassumono più o meno tutto. Si tratta di una piacevole collaborazone  di musicisti composta da Joe Bonamassa (chitarra), Ron DeJesus (chitarra), Mike Merrit (basso), Renato Neto (Keys) e Tal Bergman (batteria e produttore). Tal è stato il batterista di Joe per un paio d'anni adesso  e  i RCFP erano iniziati  come un progetto parallelo con Ron DeJesus con cui si trovavano insieme al Baked Potato Jazz Club di Los Angeles per una Jam. Nel corso del tempo il resto del gruppo si è unito alla jam session e fino ad ottenre quella che è una band che unisce il Funk degli anni '70 e '80  con l'improvvisazione jazz fusion, il tutto unito a una sensibilità rock di base.Le influenze di grandi musicisti jazz e funk come James Brown, Marcus Miller, Miles Davis, Sly Stone, Billy Cobham, e la Average White Band sono evidenti in questo album. Sostituite le parti vocali con lunghi scambi di improvvisazione tra tutti i musicisti,la mancanza delle parole non si avverte affatto.
L'album inizia con il primo singolo pubblicato, "Octopus-e", che si può scaricare gratuitamente dalla pagina web della band. Si inizia con uno staccato di chitarra ritmica, cui poi va ad aggiungersi quello di guida di basso e batteria ,che caratterizzano il  funk. Ciò definisce con chiarezza  che questo non è il rock blues che si è abituati a sentire da Bonamassa, ma del resto, questa non è la sua band. Quindi aspettatevi di sentire qualcosa di diverso. "We Want Groove" possiede un ritmo che ti fa ballare e non ti lascia mai. "The best ten minutes of your life" sono letteralmente dieci minuti di suoni rilassati,di atmosfera da anima notturna che fa venire voglia di distendersi, chiudere gli occhi e immaginare di  dondolarsi su un'amaca in spiaggia, mentre si guarda il tramonto con un buon drink e la persona che ami. Se si desidera più del solito sound sentimentale, l'ultimo brano, "New York Song", è la canzone giusta. Basta restare in ascolto verso la fine  per  catturare la traccia fantasma, dopo un paio di minuti di silenzio.
Questo album non è fatto per tutti. Tuttavia, se stai cercando di sperimentare e di spingere i confini di ciò che ti piace oltre il rock blues,segui Joe in questo cammino. E 'un tuffo divertente nel genere jazz funk che non si allontana troppo dal rock. Ogni traccia è colorata da chitarre stratosferiche e alla fine "We want Groove" offre il Groove funky che promette.

Voto: 8/10

Traccie imperdibili:
- Octopus-e
- We Want Groove
- The Best Ten Minutes of Your Life
- New York Song

Il pezzo forte:
- Octopus-e




giovedì 18 luglio 2013

"Guitar World" Mo Joe Working - 2 di 2

Dopo l'ultimo show alla Albert Hall nel 2009, che ha visto la partecipazione di Eric Clapton, cosi come lo show al Beacon Theatre del 2012, la decisione del chitarrista è stata quella di rinunciare agli ospiti speciali per questa serie di concerti che verranno registrati.



"Come puoi andare oltre dopo Eric Clapton?" chiede Joe "non puoi. Non vorrei sembrare indifferente a riguardo, ma non potremmo mai avere un momento migliore di quello che è stato per via di chi è lui e di cosa
rappresenta per me aver suonato in un posto dove ha scritto la storia. Inoltre sul DVD "Beacon Theatre: Live from New York" ci sono Paul Rodgers, John Hiatt e Beth Hart. Non voglio che ogni volta che registriamo un dvd diventi tipo "la parata di stelle di Joe", perchè il concerto deve reggere in piedi da solo e con merito, un pò come è stato a Vienna. Quello è stato il nostro approccio per i quattro concerti." Anche se è orgoglioso di definirsi un newyorkese, la decisione di portare sui palchi di Londra la retrospettiva della sua carriera è abbastanza volontaria. Il suo successo nel Regno Unito è innegabile, probabilmente è maggiore di quello che ha ottenuto negli Stati Uniti. Bonamassa, che tra le sue maggiori fonti d'ispirazione ha sempre citato chitarristi britannici come Jeff Beck, Paul Kossoff e Jimmy Page, è abbastanza conscio dell'ironia del riportare nel Regno Unito il British Blues, cosi come i progenitori del genere riportarono il blues in America negli anni Sessanta. "Penso che alla fine sia una novità il fatto che un tizio americano re-importa il blues britannico. Nessuno si rende mai conto di quello che ha nel proprio recinto finchè qualcun'altro non lo reimporta facendolo apparire esotico."
Mentre il posto di portabandiera della nuova generazione nel genere rock-blues è assicurato, il chitarrista prende le distanze da questo titolo indicando altri come Derek Trucks o Gary Clark Jrcome musicisti più meritevoli del titolo. Nonostante la modestia, Bonamassa sa qual'è il suo ruolo e come viene visto dagli altri, ma questo non implica che debba sentirsi una qualche responsabilità in quanto campione del suo genere. "Io faccio quello che faccio, sono cosi" dice "Intendo, se provi ad inquadrarmi, i miei dischi preferiti sono quelli di Rory Gallagher, Peter Green e i Fleetwood Mac, Paul Kossoff con i Free e la band Jeff Back Group. Questa è la musica che ho amato crescendo, e il fatto che io abbia coverizzato alcune delle loro canzoni e le abbia riproposte 40 anni dopo non è un ironia che cade su orecchie sorde. Detto questo, non mi sento nessuna responsabilità nel dover portare in alto la bandiera del British Blues."
Questo spiega anche la diversità ed il variare della sua carriera, passando da An acoustic evening at the Vienna Opera House al nuovo album con la Hart. "Beth è unica canta in un modo eccezionale" dice "Ha una voce incredibile e spacca di brutto. La band è fantastica pure. Avevamo Blondie Chaplin dei Beach Boys e dei Rolling Stones alla chitarra ritmica, Anton Fig alla batteria, Arlan Schierbaum dal tour acustico e Carmine Rojas della mia band al basso. Questa era la squadra. Credo che questo disco sia molto più forte e sicuramente più musicale del primo."


Bonamassa si gusta davvero ognuno dei suoi progetti al di fuori della carriera solista, come questo nuovo disco o la collaborazione con i Rock Candy Funk Party o l'ormai defunta band Black Country Commuinion, che comprendeva il cantante Glen Hughes , il batterista Jason Bonham e il tastierista Derek Sherinian. "Mi ha reso il chitarrista di una band , che è una situazione in cui mi piace stare, mi lascia l'opportunità di allargarmi musicalmente a suonare cose che norimalmente non farei con la mia band solista. Sono un chitarrista, un musicista."
Quando la conversazione si sposta sul tema delle chitarre, Bonamassa ne è visibilmente contento. Oltre ad essere uno dei più rispettati chitarristi infatti è anche un profondo conoscitore dello strumento. La sua collezione privata è composta da 85 chitarre, incluse sei iconiche sunburst Gibson Les Paul Standard del periodo 1958-60. "Ne ho suonate circa 70 nella mia vita e non ce n'è una che suoni uguale all'altra, perchè sono tutte fatte a mano."
Afferra una chitarra sul divano per chiarire ancora meglio ciò che intende. "Questa chitarra è della fine del 1960 ed è una delle ultimissime proprio. Il manico è simile a quello di  una SG. La Spot ( una altra Les Paul Burst appartenuta a Joe) è una 1959 con due pickup a doppia bobina bianchi; è una chitarra rock. Un'altra tra quelle che ho, la Skinner, è un pò più dolce rispetto a questa. Alcune suonano più scure, altre sono più chiare come suono. Alcune urlano di più , altre di meno." Proprio come Peter Green , Bonamassa possiede una più unica che rara Les Paul 1959 chiamata Magellan, che per uno strano errore ha dei pickup in grado di escludersi l'uno con l'altro gradualmente nella posizione centrale. "Immaggino la scena più o meno cosi" spiega "Sei nella fabbrica della Gibson ed è venerdi. Cosa hai voglia di fare il venerdi? Sicuramente vuoi andartene di lì il prima possibile. Quindi hanno accidentalmente messo il magnete nel pickup nella posizione sbagliata senza controllarne la polarità. Il pickup in sè è ottimo, ma quando sposti il pickup al centro , la fase si annulla. Personalmente mi piace. Ha un bel timbro che non usano in molti." Con la sua popolarità in costante crescita anno dopo anno e dopo essere diventato l'artista con più album blues nella storia al numero uno delle classifiche , Bonamassa è abbastanza contento della sua posizione. Non è, e non è mai stato, uno che suona per essere popolare, e le sue aspirazioni sono sorprendentemente umili. "Mi piacerebbe suonare alla Carnagie Hall un giorno con la band acustica" dice riferendosi al gruppo di musicisti che sono saliti sul palco con lui in occasione di An Acoustic Evening at the Vienna Opera House. "La Halbert Hall è stato il coronamento di un sogno lungo una vita, ed è sempre un privilegio poter suonare lì. Ma essendo di New York , suonare alla Carnegie Hall è qualcosa di importantissimo. In quanto al suonare in posti come il Madison Square Garden, non ne sono molto sicuro. Se iniziamo a suonare in arene stracolme , dovremmo raddoppiare il numero di persone dello staff, e a me piace il fatto di conoscere bene ognuno di loro. Bisogna fare attenzione a quello che si desidera, perchè spesso si rischia di perdere di vista il vero motivo per cui sei qui. I vantaggi del lavoro diventano più importanti del lavoro stesso." Non si direbbe che sia tutto un gioco e un divertimento. Da tanta celebrità derivano tante responsabilità che possono diventare un fardello pesante. "Mi sto assolutamente divertendo anche se, devo ammetterlo, probabilmente non è lo stesso divertimento di sempre perchè la puntata della scommessa ora è più alta. Ho un impegno nei confronti dello staff che è la fuori, ma soprattutto nei confronti delle 2600 persone che verranno a vedere lo show di stasera. Questa gente ha speso dei soldi per i biglietti e meritano il 100 percento di quello che posso offrirgli. Questa sera per esempio, ci sono persone che vengono dal New Hampshire per seguire il concerto, quindi se io avessi deciso di andare la scorsa notte a vedere spettacoli di ragazze e mi fossi comportato come un'idiota svegliandomi devastato senza poter cosi dare il 100 per cento, non sarebbe carino per i fans. E' un lavoro serio, ed ogni anno diventa sempre più serio. Ma è ancora divertente. Vogliamo prima di tutto divertirci qui."


traduzione dell'articolo originale scritto da Corbin Reiff su Guitar World

mercoledì 17 luglio 2013

"Guitar World" Mo Joe Working - 1 di 2

Dopo il successo degli show di Londra , l'instancabile Joe Bonamassa ci parla della sua carriera, del nuovo album con la cantane Beth Hart e del suo attuale ultimo innamoramento con una chitarra elettrica: la Gibson Les Paul "burst."


Sono le sei del 12 Aprile, mancano due ore al concerto e Joe Bonamassa siede nel suo camerino all'interno del Paramount Theatre di Seattle, mentre sfoglia con interesse sul suo iPad alcune foto di chitarre vintage. "Dà un'occhiata a questa" dice rivolto al tecnico delle chitarre e porgendogli il tablet. "La Black Armstrong Collection, basso e chitarra, solo $1500 dollari ciascuno." Il tecnico delle chitarre seduto sul divano affianco a Bonamassa sta strimpellando l'ultima arrivata, una Gibson Les Paul Standard del 1960 che ha acquistato da un venditore in Sudafrica. Guardando il display del tablet lancia un segno d'approvazione poi ripone la chitarra nella sua custodia. I due intraprendono una breve conversazione riguardo al fatto se sia necessario o meno usare un pò di Gorilla Glue (colla) su un pezzo della strumentazione prima di scusarsi ed allontanarsi dalla stanza. Questa sera Bonamassa sarà impegnato nel secondo show primaverile del tour del nord america 2013, e anche se deve vedersela con un pò di influenza contratta poco tempo prima in Europa, sembra essere in ottime forze. "Il primo show un paio di giorni fa a Vancouver è stato eccezionale. Ero al top, il pubblico magnifico, la band ha suonato bene. E' stato bellissimo." Il suo entusiasmo è notevole nonostante la sua condizione di salute non ottimale e il ritmo di vita degli ultimi tempi. A Marzo scorso, Bonamassa ha pubblicato il doppio cd "An acoustic evening at the Vienna opera house", registrato a Luglio durante due settimane del tour acustico. Nel periodo in cui il cd arrivava nei negozi Bonamassa è stato protagonista di una serie di concerti consecutivi per ordine di capienza a Londra, dai club più piccoli e intimi fino all'Hammersmith Apollo e la Royal Albert Hall. Inoltre ha registrato il secondo disco insieme alla cantante Beth Hart intitolato Seesaw. I quattro concerti di Londra, l'apice del tour Europeo, sono stati debitamente filmati e registrati per qualche futura pubblicazione forse. Rappresentano una panoramica retrospettiva dei 13 anni di carriera professionale di Bonamassa. "Sono andati alla grande quei concerti, ma non lo rifarò mai più" dichiara il chitarrista "Non credo che ci sia qualcun'altro che abbia mai provato a farlo. Ora so anche perchè. E' quasi come Evel Knievel che fa il salto della fontana (Caesars Palace in Las Vegas): non è proprio una bella idea." [Evel Knievel è un famoso stuntman e attore statunitense degli anni 60 noto come "l'uomo che si è rotto più ossa di chiunque altro"].


Forse a causa dell'influenza viene fuori un pò di stanchezza dalla voce di Joe. "E' stata una bella panoramica della mia carriera, più bello per i fans di quanto lo sia stato per me" puntualizza. "Sono sicuro che quando riguarderò la registrazione fra un pò di tempo dirò "mi sono divertito più di quanto pensassi all'epoca." Ma la pressione di questa impresa è stata davvero pesante." Non si può dire che Bonamassa non sia fiero di quello che ha compiuto, specialmente dello show alla Royal Albert Hall, una location che occupa un posto speciale nel suo cuore. "Sai, ci sono alcune sere in cui capisci subito come sarà. Il ruggito iniziale della folla dice tutto quello che ho bisogno di sapere riguardo quello che ho da fare. Se l'accoglienza è tiepida so che dovrò lavorare duramente quella sera.  Se l'atmosfera è carica, è più invitante. E' il tipo di cosa che vorresti imbottigliare per portarla con te ovunque tu vada. Non puoi averlo tutte le sere, ma quello che puoi fare è sicuramente lottare per ottenerlo, e se avessi potuto scegliere in quale posto farlo succedere, avrei sicuramente scelto che accadesse alla Royal Albert Hall. Ha un grande sound la Albert Hall, e la prima volta che suonammo li non abbiamo centrato il bersaglio e suonammo a volumi troppo alti. E' una camera molto grande ed è difficile da gestire. Questa volta il suono era giusto, il pubblico era dentro da quando abbiamo messo piede sul palco ed è stata una notte meravigliosa."


Per lo show alla Albert Hall, Bonamassa ha pensato bene di scatenare l'invidia di massa nel mondo dei chitarristi utilizzando alcune rinomate chitarre come la Fender Stratocaster battle-worn di Rory Gallagher, una Gibson Les Paul 1959 di Bernie Marsden e una Les Paul Standard Peter Green/Gary Moore 1959, nota come il Santo Graal per il suo suono particolare. "Conosco Bernie e Donal, il fratello di Rory. E la chitarra di Peter Green l'ho avuta attraverso un rivenditore/collezionista" spiega Bonamassa. "Quindi le ho suonate, non per fare un paragone tra me e Rory Gallagher o Peter Green ma per sentire questi sturmenti per quello che sono. Alcuni vedono questi strumenti come reliquie sacre che non devono essere toccate nè suonate, ma sono solo delle chitarre, e suonano ancora alla grande. Questa è un pò la razionalità che c'è dietro quello che facciamo e sono davvero felice del risultato."



traduzione dell'articolo originale scritto da Corbin Reiff su Guitar World
            

giovedì 11 luglio 2013

Nuovo album

E' una notizia dell'ultimissima ora quella secondo cui Joe si sarebbe messo da poco a lavoro per la stesura del suo prossimo disco solista in studio. Ecco le parole di Joe Bonamassa a riguardo:
 "Oggi inizio ufficialmente a scrivere il nuovo album che registreremo in inverno. La prima canzone di solito stabilisce l'andamento di un album, ma non la sua forma per intero. Sono felice di aprire un nuovo capitolo della mia carriera musicale e di concentrarmi sul mio primo amore. Il Blues!"
Grande Joe!!!


lunedì 8 luglio 2013

Intervista a Joe Bonamassa e George Benson

4 Luglio:  Red, White & Blue
Celebriamo questo mese la nascita della nostra nazione (riferito agli USA ovviamente) , perciò è importante fare un punto della situazione sul nostro contributo artistico al mondo. Nonostante la giovane età di questo paese (almeno rispetto agli altri), ben tre delle forme artistiche musicali di maggiore impatto sono nate all'interno di questi confini: blues, jazz e il loro figlio, il rock and roll. Dopo aver attraversato il nostro patrimonio misto e il nostro turbolento passato, anche se non sempre in modo armonioso, il blues , il rock e il jazz si sono originati e diffusi in tutto il mondo , portando gioia e ispirazione a milioni e milioni di persone. Anche se tutti i discorsi intorno al 4 Luglio tendono a sottolineare il contributo della nostra nazione alla governabilità, alla democrazia , alla libertà e alla politica, non bisogna dimenticare persone come Robert Johnson, Muddy Waters, Miles Davis, John Coltrane, Elvis Presley, Bruce Springsteen e tanti altri appartenenti ad una lunga lista di nomi meritevoli per aver contribuito a tenere alta la bandiera americana, grazie ai loro stili musicali. Come questa nazione è il frutto di una ribellione, cosi lo è anche la musica che abbiamo prodotto. La nostra nazione è venuta fuori da una rivoluzione contro lo status quo e la nostra storia musicale continua nella stessa maniera in cui lo fanno il rock, il jazz e il blues. Quello che ne viene fuori è di per sè un sogno americano. Speriamo davvero che quello che abbiamo da offrire possa darvi l'ispirazione per iniziare la vostra rivoluzione musicale, e vi auguriamo un felice 4 luglio.



Introduzione
Due grandi chitarristi di due generazioni differenti, cosi gentili da trovare un buco nel loro fitto calendario di concerti e registrazioni per parlare un po con noi. George Benson sta per iniziare un tour che lo porterà in Germania, Serbia, Svizzera e Italia nei giorni in cui verrà pubblicata questa intervista nei rispettivi paesi. Per Bonamassa invece l'estate gli riserva delle date europee con una densa concentrazione di concerti nel Regno Unito. Entrambi promuovono il loro disco, Benson con il suo bellissimo Guitar Man che vede la partecipazione di un gruppo di stelle della musica, e Bonamassa con il disco insieme a Beth Hart e un album di orientamento funk che si intitola We Want Groove.

Intervista

- L'Ibanez George Benson vede la luce nel 1978. Ci sono stati molti cambiamenti o modifiche negli anni successivi?
GB: Alcuni cambiamenti alla GB10, che è uno dei primi modelli. Poi c'è la GB20 che è una chitarra specifica per il jazz. La GB 10 è un ibrido. E' una via di mezzo. Ho progettato questa chitarra per la gente che viaggia, per dargli l'opportunità di tenere la chitarra sopra le loro teste , in aereo.

- Davvero? Quindi le dimensioni sono pensate anche per far risparmiare un pò sulle spese generali ?
GB: Quello era uno dei grandi vantaggi nell'avere una chitarra di quelle dimensioni. Un'altro era quello di eliminare i rumori di fondo che possono esserci quando alzi il volume al massimo.

- Un pò come accade con le Box Guitars?
Le Box Guitars più grandi hanno poco ronzio di sottofondo.

- Stessa domanda per te Joe. Nel progettare la tua signature, quella basata sulla Goldtop, che tipo di richieste hai voluto fare alla Gibson che si è poi occupata della produzione?
JB: Volevo uno stile Goldtop'50, sicuramente. Ci piaceva il battipenna all'inglese, tipo quello che c'era sulla chitarra di Jeff Beck , che probabilmente se l'era fatto artigianalmente. Un altro punto importante, lo spessore del manico. In quel periodo ero preso dai manici più spessi, tipo quello bello grande della '58, quindi abbiamo scelto un manico simile a quello. Il retro della chitarra è di colore nero il che è un pò una cosa critica per l'estetica dello strumento. E' basata su una chitarra che portarono al negozio di mio padre, aveva subìto cosi tanti danni che sul retro, per nasconderli, la verniciarono di nero. Questo perchè le Les Paul si rompono quando le lasci appoggiate sulla sedia e poi cadono.

- George , di solito usi una Guild Artist Award. E' una chitarra che tende a ad essere un pò rumorosa, di sottofondo? Intendo feedback, ronzii...
GB: Mi ha insegnato qualcosa. Mi ha insegnato a settare la mia chitarra cosi da non sentirli più molto. Un buon 80% di rumore riesco ad eliminarlo posizionando l'amplificatore in un certo modo, invece la GB10 non ha questo problema più di tanto, è abbastanza silenziosa. Potrei mettere il volume al massimo sul palco mentre suono con un sintetizzatore, un sassofono e altre chitarre. Quindi fa quello per cui è stata progettata in maniera davvero ottima.
E' uno strumento davvero forte inoltre. Le mie chitarre spesso si rompono. Il manico che si piega e i vari cambi di temperatura a cui la chitarra è sottoposta, problemi del genere. Ha sempre bisogno di qualche aggiustamento. La portavo al negozio dove dovevano aggiustarmela praticamente ogni due o tre giorni, mi ero stancato. Quindi il mio accordo con l'Ibanez era che loro avrebbero dovuto costruire una chitarra che fosse sempre in buono stato di marcia, cosi che non devi per forza avere la cassetta degli attrezzi con te. Hanno fatto praticamente in modo che tutto potesse essere aggiustato a mano. Puoi regolare tutto senza bisogno di utensili. Non solo il tailpiece e il ponte, anche le chiavette per l'accordatura.

- Joe, prima hai parlato del negozio di tuo padre. Sei cresciuto nei negozi di musica. In particolare in mezzo a chitarristi di orientamento blues, deduco proprio che tu sia un grande amante della strumentazione.
JB: Oh si, certo. Le colleziono. Essenzialmente sono un collezionista di pezzi rari degli anni 50 e 60. Alcuni collezionano cartelli pubblicitari di motociclette degli anni 30. Altri collezionano vecchi impianti di illuminazione o racchette da tennis o mazze da golf. Alcuni collezionano Les Pual '59, '60 o '58.

- Vai di frequente nei negozi di musica ancora oggi?
JB: Ogni giorno libero che ho. Quando siamo in giro cerchiamo un negozio di musica. Andiamo matti per i vecchi negozi di musica che sono pieni di roba da esplorare, perchè puoi sempre trovare una perla preziosa. Ma non cerco Stratocaster , Telecaster o altre cose che uno si aspetterebbe. Voglio trovare cose che nessuno ha, ecco perchè sono un collezionista. Sto cercando qualche strano pedale antico o qualche amplificatore valvolare, o qualche altrà assurdità come queste.



- George adesso quale modello di George Benson stai usando per suonare nei live? LA GB10 o la GB20?
GB: Quella che suono ora è la LGB 300, che sta per Little George Benson, ed è una chitarra fantastica. E' come, non so se ti ricordi, la chitarra Johnny Smith. Aveva il manico e la tastiera che erano fantastici ed è quello che volevo su questa chitarra. Inizialmente l'Ibanez non sapeva cosa fosse. Non ne avevano mai sentito parlare. Ho detto: "Cosa?!" poi quando mi hanno richiamato dissero "Lo sai, abbiamo trovato la chitarra. Abbiamo capito come fare il manico e la tastiera". Dissi : "La voglio proprio cosi". E l'hanno fatta uguale. Amico, è facile da suonare. Puoi farci sia accordi che assoli. Sai, cose su una corda sola ecc. Quindi credo sia la chitarra più adatta adesso per me.

- Passiamo agli amplificatori, Joe, hai mai fatto esperimenti con le nuove tecnologie riguardo i modelli di amplificatori?
JB: Perchè? Voglio dire, se ho bisogno di un suono come quello del Super Lead Marshall. Devo solo collegare un Super Lead Marshall. Preferirei collegare un vero Twin. E non è necessario che sia vintage. E' come se qualcuno mi dicesse ecco un modello del Blackface Twin, e il prezzo sul cartellino è lo stesso della riedizione del Blackface Twin. Prenderei il Twin.

- Quali amplificatori ti porti dietro per i tuoi ultimi concerti?
JB: Un paio di Marshall, small box 50s, alcuni DSL. Poi ho un amplificatore Suhr e qualche altra cosa.

- George, cosa ci dici del nuovo amplificatore Fender che porta il tuo nome?
GB: Il tizio della Fender mi ha chiesto : "Qual'è il tuo amplificatore preferito? Io credo di saperlo. Credo che usi un Polytone". Ho risposto: "Si. Lo uso da tanti anni". Quindi mi hanno chiesto: "Cos'è che ti piace di un Polytone?" ed ho rispetto che mi piace il fatto che faccia suonare in maniera naturale una chitarra. Non ci sono accentuazioni sugli alti o sui bassi. Il suono è molto naturale.
Ho detto : "Sapete, conosco la Fender, so quanto valgono i prodotti Fender, ma da musicista jazz , questo è quello che cercavo"
Cosi abbiamo iniziato a cercare il giusto suono  finchè a un certo punto ho detto "hey, questo mi piace". Un suono chiaro, in cui gli alti e i bassi sono come dovrebbero essere, senza essere eccessivamente sovraccarichi. In più mi hanno dato dei tappi per le orecchie che non avevo...Con un Fender basta mettere il volume a 2 o 3 e già suona molto forte. Poi abbiamo pensato al cabinet, a come renderlo più leggero possibile. "sapete una cosa? - gli ho detto - quando ero ragazzo un amplificatore cosi poteva pesare pure un quintale, ma oggi..." E loro mi hanno risposto "La sai una cosa tu? Possiamo diminuire il peso perchè lo speaker che usiamo è differente." Il peso è sceso fino alla metà. Sai quanto è bello per quelli che suonano come me? Ci sono un sacco di persone che suonano nei ristoranti, nei clubs, e tutti quei tipi di concerti, capisci cosa intendo?".

- Ok. Tutti e due siete cantanti. Joe, usi dei modelli di microfoni particolari?
JB: Ho usato per moltissimo tempo un Beyer (dinamico) , M88, M69. Di solito uso l'M88, ma adesso dal vivo sto usando l'M69.

- E te, George?
GB: Facciamo qualche esperimento a volte. Ne ho uno wireless che voglio usare. Non so neanche dirti quale sia.

- E in studio ?
GB: In studio ci atteniamo ai microfoni Shure 57 , 58, o qualunque altro.

- Per la voce?
GB: Certo amico. Poi c'è l'SM7. Quello l'abbiamo usato per la voce di "Give me the night."

- E per i monitor da palco, hai una strategia , Joe?
JB: Ho iniziato ad usare gli in-ear monitor dall'anno scorso e non c'è niente di meglio se canti. Sicuro al cento per cento. Suona meglio.

- Te quali usi George?
GB: Dei monitor da terra. L'altro modo è troppo complicato per me. Ne sfugge una mentre devi suonare o cantare , sei nei guai. Quindi mettiamo i monitor di fronte a me sul palco. Quelli della mia band usano queste cose per le orecchie, i tappi."

- Joe cosa usi invece riguardo allo slide, al capotasto, le crode ecc...?
JB: Uso per le crode le Ernie Ball. Quelle da 11 e 52 , le userei comunque anche se non avessi accordi con la Ernie Ball, perchè mi piacciono. Uso uno slide Dunlop, di metallo. Non mi piacciono quelli di vetro. Ma ho usato anche quelli in passato. Il mio "equipaggiamento" è composto da cose che userei comunque anche per conto mio. Ora possono darmeli gratis, ma anche prima li usavo, sono un loro clienti da molti anni.

- Beh , questo è come dovrebbe essere forse, che il fabbricante individua un artista rispettato che già usa i suoi prodotti e dice, hey, perchè non facciamo un accordo tra di noi? Invece di...
JB: Si, non hai tutti i torti. Voglio dire ogni giorno incontri gente che ha una valigia piena di pedali artigianali e ti dicono questo è meglio di un Tube Screamer. Io dico , no, non lo è. Smettetela di dire queste cose. E' diverso da un Tube Screamer. Il Tube Screamer è un pedale leggendario. E' fantastico e suona alla grande. Ci sarà un motivo se viene usato da tanti, da chi fa metal a chi fa blues. Non stai reinventando nulla. Mostrami qualcosa che sia differente. Fammi sentire qualcosa che sia funky. Cosa ne pensi di un ring modulator? Se avessi avuto una moneta per ogni volta che ho ho visto un Tube Screamer modificato, io ho modificato questo, io ho modificato quest'altro...ragazzi, state andando fuori strada. Chi si inventa il prossimo Univibe? e  il prossimo Rotosphere?

- Riguardo a te George. SA proposito di "piccola" strumentazione per la chitarra, c'è un plettro che preferisci?
GB: I plettri sono frutto di un mio progetto. Sono leggermente differenti da quelli standard, o da quelli che chiami Nick Lucas o Fender. Sono molto simili ai Fender, ma hanno una forma diversa ed è così che la Ibanez ha creato i plettri George Benson.

- Capisco...
GB: Ma ho in progetto di fare alcune cose con la Fender, come la tracolla o cose del genere,  qualche novità che potrebbe interessare o che i chitarristi vorrebero avere da portare sul palco e perchè no magari per avere spunti per nuove idee o cose del genere.

- In quanto ai cavi jack? Usi sempre gli stessi jack?
GB: I tizi della Monster mi hanno dato un pò di cavi jack da portare in giro con me. Abbiamo sperimentato per un paio di anni con quei cavi.  Forse la Fender progetterà un nuovo cavo jack. Hanno diversi modelli che mi diverto a provare, per vedere cosa succede.

- Bello. Ci sono delle qualità specifiche che cerchi dai tuoi compagni di band?
GB: La migliore  band che io abbia mai avuto era la Breezin' band, perchè era un gruppo vario. Hanno attitudini musicali differenti, cosi come le loro esperienze di vita. Jorge Dalto era dell'Argentina, quindi conosceva molto bene la musica folk argentina, voleva essere un musicista jazz, ma portava con lui sempre un pò di quella musica folk. Quindi aveva un'ottima conoscienza delle armonie, e riusciva a dare dei colori al suono che non sempre trovi nella musica jazz. Molto legato alla progressione 2/5 dell'R&B , ma suonava tutto molto bene. Il suo stile era semi-classico. Poi c'era Ronnie Foster , la punta di diamante. Per lui era cosi facile suonare, già da ragazzo, a 15 anni. Sapeva suonare qualsiasi cosa. Aveva molto orecchio. Era uno a cui piaceva sperimentare e questa cosa mi piaceva di lui. Non era mai noioso. Non sapevo cosa avrebbe suonato dopo, ma credo che nemmeno lui lo sapesse. Semplicemente si immergeva negli assoli con tutti e quattro ed erano sempre fantastici.

JB: Hey, prima di andare, voglio dirvi che voi, ragazzi, mi avete salvato. Il mio Rotosphere è morto, dopo averlo tenuto per anni, nel bel mezzo dello show, la scorsa notte. Pensavo ci fosse qualcosa che non andasse nel loop, ma abbiamo capito che era il Rotosphere e voi siete stati cosi gentili da ordinare un Rotosphere Hughes & Kettner nuovo di zecca per me. Boom , la mattina dopo alle dieci era li. Ora fa parte della mia pedaliera e va alla grande, quindi non sono solo l'intervistato....com'era quella vecchia pubblicità della Sy Sperling?

- "Non sono solo il presidente dell'Hair Club, sono anche un cliente"
JB: Sono anche un cliente. Quindi stiamo parlando del servizio clienti, e i lettori devono sapere che il livello di servizio e professionalità come i tempi di spedizione, sono senza paragoni.

- Mi fa molto piacere, Joe
GB: Hei, devo fare un salto giù per prepararmi, mi fanno un pò male le mani oggi, devo fare dello stretching per circa un'ora per renderle più agili. Si, faccio esercizi tutti i giorni. Provo a prepararmi, ma provo anche a godere dei vantaggi del backstage di questa bellissima arena, quindi metterò l'amplificatore nel box doccia e lo farò scoppiare.

domenica 7 luglio 2013

Telling Stories

D. Boy 
 Telling Stories 
Il blues parla all'anima, non ha a che fare con il successo, anzi, spesso il vero blues è il frutto di un insuccesso personale. Come i primi bluesman della storia , che non godevano certo di condizioni sociali invidiabili. Ma il mondo cambia , si evolve, cosi anche il blues. I bluesman non lavorano più nei campi di cotone, non almeno quelli che conosciamo noi. Sono comunque sicuro che in qualche posto sperduto, qualche bravo uomo stia scrivendo una canzone nuovae e unica, con i limitatissimi mezzi a disposizione e senza neanche sapere che esistono tecniche o regole specifiche da seguire come musicista. Parlando del blues che in qualche modo riesce a far sentire la propria presenza a livello mondiale non c'è dubbio sul fatto che rimane quella caratteristica di indipendenza a qualsiasi schema commerciale o di spettacolo. Considerando le varie crisi (discografica, economica, o personale dei vari artisti spiaccicati in prima pagina senza motivi musicalmente validi) lo scenario in cui si inserisce lo spettacolo del signor Bonamassa ha dell'incredibile . O forse no, forse basta avere personalità, basta essere fieri e orgogliosi del proprio duro lavoro , ed ecco che anche uno umile e timido come Joe intraprende una carriera che accompaganta dal talento eccezionale, lo porta in giro per il mondo alla media di 200 concerti all'anno. Rimane la voglia, dei veri bluesman, di tradurre in musica un sentimento che condividiamo tutti quanti soprattutto quando la vita non procede come avremmo sperato. Il blues non insegue il successo, ma a volte lo trova, come nel caso di Joe, beffandosi della logica commerciale secondo cui un musicista deve preconfezionare le sue canzoni adattandole a strutture e suoni prestabiliti. Scappando da tale logica riesce a dare in pasto al pubblico proprio quello che il pubblico vuole. Quando queste succede le grandi menti del marketing del music business me li immagino rossi, con il fumo che gli esce dalle orecchie, gli occhi gonfi e il rumore del bollitore a pressione in sottofondo. Che tanto nessuno meglio di un artista in fuga da tutto questo può capire veramente quello che il pubblico vuole. Perchè un vero bluesman, come Joe, non sta sul piedistallo, sta in mezzo al pubblico , non ha da impartire lezioni di vita , nè poesie , ma guarda i maestri del passato con il rispetto che è dovuto loro. Il blues è più di una semplice musica, è il racconto della verità, del dolore, delle diffidenze e dei dispiaceri del genere umano. E' tutta una serie di realtà che alla fine non è musica, è più una situazione. Il blues trascende la musica. Abbraccia l'essere umano che è dentro il musicista che sta tra il pubblico.

(D.Boy) 

La playlist della Vale oggi contiene :  
1- Robert Johnson: Sweet home Chicago
1- Joe Bonamassa: Blue & Evil
2- Joe Bonamassa: Dust Bowl
3- Otis Redding: Sitting on the dock of the bay
4- Led Zeppelin: Kashmir


giovedì 4 luglio 2013

Speciale Tour De Force (4 di 4)

Da Classic Rock Magazine di Luglio 2013
Pochi posti sono unici come la Royal Albert Hall. Non in termini di grandezza, ci sono arene in questa nazione che possono contenere molte più persone. Ma in termini di pura grandiosità, non c'è posto che tenga. Stare al centro è come trovarsi nel mezzo di una vasta e magica scatola per torte. E' certamente una location prestigiosa, e lo spettacolo di Bonamassa stasera è il coronamento dell'avventura inglese. Anche se non si direbbe guardando i corridoi vuoti del backstage. La stella della serata non si fa vedere, presumibilmente ora è chiuso nel suo camerino a cercare di darsi una calmata. Carmine Rojas, Tal Bergman e il percussionista Lenny Castro si rilassano un po' dentro e un po' fuori dai rispettivi camerini, come fanno altri tre strumentisti (che suonano mandolini, nickelharpa, percussioni latine e tastiere) che stasera saliranno sul palco per accompagnare Joe nel set acustico di otto canzoni che farà da apertura al concerto.



Un'altra figura che si muove qui intorno, e che lo fa da un paio di giorni è Kevin Shirley. Di poche parole, ma amichevole. Nato in Sudafrica, Shirley è il produttore e il direttore musicale del tour di Bonamassa. Come spiega lui stesso: "Mi occupo di un sacco di aspetti che riguardano lo show: i tempi delle canzoni e gli arrangiamenti. Io mi assicuro che lo show possa rendere al meglio, cosa che Joe fa già di suo, in maniera molto naturale, ma se posso, provo anche a migliorarlo."
Shirley è affianco a Bonamassa dall'album You and Me del 2006. Ha aiutato il chitarrista a focalizzare meglio non solo la propria musica, ma anche l'immagine e l'estetica (inoltre fu Shirley a mettere insieme la band Black Country Communion, salvo poi assistere impotente al suo disfacimento). Il produttore è la mente di queste 4 serate. Sapeva che non sarebbe stato facile, ma confidava nei suoi mezzi e nelle sue capacità. "Il fatto è che Joe non si tirerà mai indietro di fronte ad una sfida" dice Shirley. "Sapevo che ce l'avrebbe fatta perché sapevo che poteva, questo è il suo lavoro, è un musicista, questo è quello di cui si occupa." Come Roy Weisman, Shirley sa che una grande parte dei fans di Joe sono scontenti per via dei prezzi dei biglietti. Ma non c'è modo di pensare che Joe sia più un businessman che un bluesman. "Ascolta - dice con decisione - tutto questo è una grossa produzione. Richiede un sacco di soldi per essere portata sulla strada. Dovevamo prendere una decisione, semplicemente. Se avessimo messo in piedi uno show qualunque sarebbe stato differente. Tu sei stato qui tutta la settimana. Hai mai visto qualcuno lamentarsi?" Questo è un punto interessante, e la prova del nove sarà la risposta del pubblico di stasera. All'apice della favola delle quattro serate, il concerto di stasera ricopre tutti gli aspetti musicali della carriera di Joe: il fatto che non ci sia un  appellativo come "notte del blues" o "notte del rock" dice tutto. Abbiamo versioni acustiche di Jelly Roll (John Martyn), Seagull (Bad Company), Jockey Full Of Bourbon (Tom Waits) e Athens to Athens (Bonamassa). Pezzi elettrici come Slow Train, Driving Towards The Daylight e The Ballad Of John Henry. Sembra una grande festa perché è cosi che deve essere.


Quando abbandona il palco dopo una trionfante esecuzione di Sloe Gin, seguita da Just Got Paid, sembra un morto che cammina. La faccia sudata, i capelli scompigliati. Anche il suo vestito sembra stanco. Ma è pur vero che ha suonato 62 canzoni con 12 diversi musicisti. Chi pensa che Joe sia la nuova finta rockstar o l'Anticristo del blues, qui ha il modo di schiarirsi le idee.


Intervista parte 4

- Ti senti ancora un artista di nicchia?
Oh, si.

- E' un ambiente piacevole?
Credo di si. Sono un artista underground, ed è bello. Ed è facile vivere in una bolla. E' facile mettersi a pensare: "Wow, stiamo facendo le cose davvero in grande". Ed è davvero grande. Ma non quanto i Foo Fighters a Wembley, o 24 notti alla O2 Arena, come ha fatto Prince. Siamo ancora una band di media statura che si sta avvicinando.

- Ti dà fastidio il fatto di non avere tanta attenzione da parte dei media?
Devo aver offeso qualcuno di quelli del Rolling Stone. E' come se fosse in corso una campagna di esclusione. Ho pubblicato 12 o 13 album, l'ultimo è stato l'unico che hanno recensito. Gli hanno dato 3 stelle. Forse non era abbastanza alla moda, non c'era nessuna melodia punk-rock purtroppo. Ma il tipo di stampa giornalistica che preferisco è quando la gente viene al concerto e dice "questo concerto è stato grandioso" e vanno a dirlo ad altre persone.

- Pagheresti 1500 sterline per vedere quattro concerti?
(strimpella sulla chitarra per 10 secondi) Ogni giorno della mia vita trovo uno che dice "Seicento dollari per il tuo biglietto? Sei un idiota, Bonamassa". Sai, ti dico una cosa, l'idea iniziale era di far pagare dodici sterline e mezzo il concerto al Borderline. Questi biglietti sarebbero stati comprati da altre persone che li avrebbero rivenduti ai concerti o sul mercato nero dei biglietti al prezzo di seicento sterline. Un ragazzo mi ha scritto due settimane fa "Ho comprato i biglietti per la Royal Albert Hall su questo sito internet, quattro biglietti trecento sterline". Sai cosa è successo? Non ha ricevuto nessun biglietto perché è venuto fuori che il sito era una truffa. Cosi mi sono informato per vedere se il ragazzo dicesse la verità. Era stato onesto e sai come è finita? Gli ho dato sei biglietti gratis.

- Ma non hai risposto alla mia domanda. Pagheresti 1500 sterline per vedere 4 concerti?
Ok, torniamo alla tua domanda. Cosa abbiamo offerto alle persone che hanno acquistato il pacchetto vip? Non solo hanno acquistato l'accesso a tutti e quattro i concerti, ma hanno ricevuto un poster originale firmato a mano e la possibilità di camminare all'interno della Royal Albert Hall...si ok, sono un sacco di soldi. Ma è una cosa onesta. E' meglio che vendere l'incontro con un fan, o una foto con lui, oppure vendere biglietti per assistere al soundcheck, tutte cose che altri artisti fanno solitamente. Per tutto ci vogliono i soldi. L'elettricità che serve a scaldare il posto, si paga. Costa molto anche. Ma una stretta di mano dovrebbe restare gratis.

Cosa diresti a chi ti accusa di essere tanto "businessman" quanto musicista?
Bisogna esserlo. Bisogna esserlo. Non puoi solo suonare. E' sopravvivenza. Nessun musicista può dire che non vuole suonare davanti a più gente possibile. Nessun musicista può dire di non volere una luce più grande o dei monitor migliori, o la birra più buona. Tutto questo sfortunatamente ha un prezzo. La differenza tra il 2005 ed ora è che viene molta più gente. L'idea è la stessa, l'esperto di business è lo stesso, la voglia è la stessa, sia da parte mia che del mio manager Roy che ha progettato tutto questo. E' percepito come più grande, ma il concetto di base non è mai cambiato.

Quindi sei un businessman tanto quanto sei un musicista?
A volte ci penso basandomi sul nostro hotel. L'hotel in cui siamo adesso a Londra, l'intero hotel, è occupato da noi. Ognuno è qui per qualcosa che sa fare. Cantante, chitarrista, intrattenitore - mi occupo più di questo che del business. Ma si, siamo probabilmente al 50 per cento adesso.

Vuoi essere considerato come uno dei "grandi" della musica?
Sai, dicono parole come "legenda". Non fa per me. Voglio dire succede spesso. Non credo che la maggior parte della gente che suona la chitarra vive per diventare una legenda. BB King, Eric Clapton, Jimmy Page, Mark Knopfler, David Gilmour...la lista è molto corta. Loro hanno fatto dei dischi che sono incredibili; io ho scritto The Ballad Of John Henry. Non siamo proprio alla stessa altezza, ovvio no?

- Sei abbastanza modesto?
Ci sono un sacco di musicisti che hanno questa voglia sfrenata di salire il Monte Rushmore. "Hey, sono il cantante e voglio salire lassù in cima, accanto a Robert Plant e Freddie Mercury e Otis Redding ed altri ancora." Ma non so alla fine a cosa ti porta questo, oltre ad ottenere il tavolo migliore al Rainbow di Los Angeles.

- Quindi cosa vuoi da tutto questo?
Sarei contento se alla fine si dicesse: "ha fatto tutto quello che diceva di voler fare, ha fatto il meglio che poteva, con le migliori intenzioni". Questo mi basta. "Suonava la chitarra e cantava qualche canzone".

- Del tipo "Tirava a campare".
Si, tirava a campare (ride)


Finale
Ho capito molto di Joe Bonamassa in questi quattro giorni. L'ultima volta che l'ho visto era nel camerino. Un'ora dopo la fine del concerto. Diverse bottiglie di Coca-Cola sono appoggiate sul tavolo di fronte a lui, vicino ad un vassoio di scones con panna e marmellata di fragole. Sembra esausto, come un uomo che ha dato tutto quello che aveva da dare fino all'ultimo. Quella recensione negativa dell'inizio è ormai lontana. "Salve gente, grazie per essere venuti ed aver dedicato il vostro tempo a tutto questo". Questo appare abbastanza strano visto che è proprio lui quello che ha svolto il lavoro più difficile. Gli chiedo cosa ne pensa. "Beh sai, c'è sempre qualche problema tecnico durante uno show, cose strane che possono succedere. Ma è venuto fuori come avremmo voluto noi. Abbiamo fatto quello che dicevamo di dover fare. E' stato possibile grazie al pubblico, è merito loro".

(articolo originale WORDS: Dave Everley PORTRAITS: Ross Halfin per CLASSIC ROCK MAGAZINE LUGLIO 2013)








mercoledì 3 luglio 2013

Speciale Tour De Force (3 di 4)

Da Classic Rock Magazine di Luglio 2013
E' giovedì e sono le sei di pomeriggio quando Bonamassa propone di fare una passeggiata. Fuori dall' Hammersmith Apollo, la gente inizia ad affollarsi in occasione dello show di stasera ( soprannominata La notte del Rock), e il chitarrista vuole capire cosa si prova a mettersi in fila per uno dei suoi show. "Manteniamo un profilo basso, non vogliamo attirare l'attenzione".
E cosi ci ritroviamo a vagare fuori dall'Apollo  in mezzo alle persone che attendono di dirigersi verso l'entrata principale. Joe Bonamassa indossa una giacca pesante, occhiali da vista (non da rock star) e un cappello. Solo il mento suggerisce l'idea di chi sia veramente. Ci fermiamo vicino una bancarella di t-shirt non originali ( "queste sono meglio di quelle originali" dice tra il serio e lo scherzoso ) e quando un bagarino cattura la nostra attenzione Joe esclama un po' infastidito "Cosa? Cinquecento?"



Nessuno muove una palpebra quando siamo lì. In "abito civile" Joe Bonamassa è un uomo qualsiasi di trenta e passa anni che aspetta di entrare per assistere ad un concerto. Dopo un bel po' di tempo arrivano i primi "smascheramenti" educati e gentili. "Voglio solo dirti che ho visto il concerto di ieri sera ed è stato straordinario" dice un fan. "Grazie amico, sono contento che ti sia piaciuto" risponde Joe. "Ma non spargiamo troppo la voce ora". Se anche Bonamassa avesse paura che tra i suoi fans si nasconda un "Mark Chapman", ora si sentirebbe comunque al sicuro. Aspettiamo ancora cinque minuti e quando è chiaro che nessuno verrà ad assalirci, rientriamo dalla porta sul retro. La sua presenza è passata quasi inosservata. Potrebbe benissimo essere un ragioniere, anzi un ragioniere costantemente impegnato a digitare numeri sulla sua calcolatrice mentre ti parla. Poi però c'è l'altra faccia di Joe Bonamassa, quella che emerge quando indossa il suo vestito, come Superman. Questo emerge in particolare in un momento preciso dello show, verso la fine. Mentre sta eseguendo The Ballad Of John Henry, una delle canzoni migliori del suo intero catalogo e l'unica ad essere in scaletta in tutte e quattro le serate. Ad un certo punto della canzone Joe abbassa gradualmente il volume della chitarra, fino a che dalle corde non esce che un sussurro. Il pubblico è in silenzio, l'atmosfera è cosi densa che puoi tagliarla con un coltello e vendere le fette a Tesco spacciandole per hamburgers. Una voce solitaria in mezzo al pubblico esclama "Spacca tutto Joe! " .
Ma Bonamassa non lo fa, rimane curvo sulla sua chitarra da cui estrapola un'altra manciata di note dolci. Rimane fermo per un attimo, poi si rimette dritto in piedi e guarda davanti a sè ed è come se la diga crollasse e un'ondata di adorazione lo travolgesse. Lentamente, torna vicino l'asta del microfono si gira verso il pubblico e aspetta che gli applausi finiscano. Questo si che è "spaccare".



Intervista parte 3

- Hai un bel seguito di fans. Di devoti, direi.
Sono molto devoti e leali nei confronti della mia musica, i miei fans. Il loro interesse è aperto a tutto. A loro piace vedere che il duro lavoro ti ripaga, e sanno che io apprezzo il loro interesse.

- Come ti senti ad essere l'oggetto della devozione?
A volte la gente viene da me, dopo essersi fatti un'idea di come posso essere in base a quello che leggono, soprattutto su internet. Li vedi che ti guardano in un certo modo. E' un po' spaventoso perché sono solo un tizio con la chitarra.

- E che mi dici riguardo a quelli che stanno "dall'altra parte"  ovvero le persone a cui non piaci ?
Oh, per alcuni io sono l'Anticristo. Ho ricevuto un'email: "Hai rovinato il blues secondo me"

- E qual'è la tua reazione in quei casi?
Non so. Dico: "Mi dispiace signore. Rivuole i soldi indietro?"

- La fama accresce il tuo ego?
Ho passato la mia vita da adulto dando per scontato che nessuno sapesse chi diavolo fossi io. E il 99,9% delle volte era davvero così. Ma ogni musicista ha il suo ego. Ci sono alcuni con un buon ego e altri sono completamente fuori controllo. Ci sono alcune persone che come hanno un briciolo di notorietà iniziano a urlare : "dov'è la mia chitarra!? dov'è la mia birra!?"

- Lo fai anche tu?
Assolutamente no. Non vado fuori di testa. Qui c'è gente che mi urla contro se mi metto a spostare qualcosa "Fermati! Non è il tuo lavoro!"

- Sai anche essere un bastardo quando si lavora?
Oh si, posso essere un figlio di puttana.

- Cosa ti fa arrabbiare di più?
Le cazzate. Ho un metro molto ben preciso con quelli che provano a dirmi una cazzata quando so delle cose. Il peggior tipo di falsità è  del tipo: "Non facciamogli sapere niente". Belle o brutte che siano voglio sempre saperle le cose. Non sono stupido. E lo verrò a scoprire da solo.

- Non riesci a sopportarli gli sciocchi?
Hai 30 secondi di tempo per dire stronzate prima che dica qualcosa io. O prima di uscirtene dalla stanza. La vita è breve e l'industria musicale è un mondo pieno di idioti e di impostori. Devi imparare a passare in mezzo e filtrare le stronzate.

- Cosa diresti se incontrassi Glenn Hughes per strada?
Direi, "Glenn, mi fa piacere vederti" e sai perché? Perché sono amico di Glenn e sono anche un suo fan. Semplicemente non ero d'accordo con i modi in cui ha cercato di coinvolgermi in un tour di due anni a Shangai e nei grandi porti del mondo.

- Cosa è andato storto?
Nel 2009, quando parlavamo dei BCC, sembrava la situazione perfetta per ognuno. Si dicevano cose del tipo, e non sono parole mie, "ho del lavoro solista da fare ogni anno" oppure "ho alcuni impegni con Billy Idol". Ed io: "Beh, sono sempre in giro in tour come un'idiota, potremmo unirci e suonare, forse fare un album  e fare qualche concerto" Ne abbiamo fatto uno a Londra al John Henry, che è stata una delle più belle esperienze musicali della mia vita. E' stato grandioso. Quattro ragazzi liberi di divertirsi che fanno un rock'n'roll ispirato ai primi anni Settanta. Eravamo tutti soddisfatti all'inizio, tutti sullo stesso piano. E' stato quando abbiamo iniziato ad avere più successo che alcuni di loro avrebbero voluto spostare il gioco a livelli più alti. "Non posso". Quella situazione ha rovinato tutto. Ho fatto nove settimane durante l'estate. Quando sono tornato a casa per un po' di tempo non ho toccato più la chitarra. Ci sono rimasto male. Ma non condivido i metodi attraverso il quale tutto questo è arrivato a conclusione. Rimane lo stesso un mio amico.

- Se Glenn ti telefonasse fra cinque anni e ti dicesse : "Joe ti va di fare un concerto, può interessarti?"
Accetterei all'istante, si.

- E se ti proponesse un nuovo album dei BCC ?
Accetterei all'istante. Ma non vorrei fare concerti in Pleoria, Illinois, poi Rockford, poi St. Louis e poi 80 show in un tour degli Stati Uniti oltre ai vari festival estivi. Non è tra gli obiettivi, non lo è mai stato, mai.